Walter Bonatti è stato un alpinista estremo e audace esploratore, ma anche un filosofo sapiente.

Il Corriere della sera

Walter Bonatti è nato nel 1930 da una famiglia poverissima, ma con la sola forza di volontà, a suon di ginnastica e camminate interminabili, seppe farsi notare fino a venir scelto per la spedizione italiana al K2 nel 1954. Fu il momento di svolta. La polemica aperta con Ardito Desio, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni sulle responsabilità che gli costarono una terribile notte trascorsa nel ghiaccio con un portatore pakistano a 8.100 metri di quota, la diatriba sulle bombole dell’ossigeno (venne falsamente accusato di averle utilizzate), a soli 24 anni lo catapultarono all’attenzione delle cronache italiane e internazionali in polemiche che durarono decenni.

Più tardi avrebbe ammesso che le più difficili salite al Dru, sulle Grandes Jorasses e le imprese extraeuropee, destinate per lunghi anni a incoronarlo il «più grande alpinista del suo tempo», derivarono anche dalla rabbia, dallo spirito di rivalsa contro quell’ingiustizia originaria, su cui scrisse libri, tenne conferenze, si scontrò aspramente con il Club Alpino Italiano. Si era sentito tradito e da allora tutto fu diverso.

Eppure, non sono solo questi eventi a spiegare il mito Bonatti. Per comprenderlo appieno si rivelano indispensabili i 16 volumi in uscita da oggi con il «Corriere». Raccolgono in oltre 2.000 pagine complessive e circa 1.500 foto (di cui almeno 200 inedite) il trentennio cruciale delle attività di Bonatti, di cui il periodo 1948-1965 da alpinista a tempo pieno, quindi sino al 1978 nella veste di «inviato-esploratore» per «Epoca» nelle bellezze naturali degli angoli più remoti.

Ne esce una storia affascinante, che per molti aspetti racconta l’Italia povera del dopoguerra. Vi si ammira il coraggio di coloro che allora si arrampicavano con la corda di canapa, e chi andava da primo doveva valutare che in caso di caduta non avrebbe quasi avuto scampo. Con i criteri alpinistici di oggi, l’evoluzione dei materiali e l’ossessione per la sicurezza, i rocciatori di allora possono apparire dei pazzi suicidi.

Bonatti qui è uno di noi. O meglio, ci dice che tutti noi possiamo farcela, se solo vogliamo e siamo pronti a pagare il prezzo dei nostri successi e insuccessi. Il suo percorso ci indica la strada. Non ha un soldo, lavora in fabbrica, tutto ciò che possiede lo costruisce da solo dal nulla, senza sconti, senza protezioni. Lui rischia, sempre. Ma lo fa in modo accorto, intelligente. È un sognatore, però con i piedi per terra.

YouTube player
Walter Bonatti

Quando parte per la grande traversata delle Alpi di sci-alpinismo, in pieno inverno, è ancora relativamente sconosciuto, ma trova sponsor e vende le sue fotografie.

La montagna è uno sport senza regole, lui inventa le sue personali e ne fa la sua professione a tempo pieno. Ha il dono di riuscire a vivere giocando, trasformando la sua passione in fonte di reddito. Ha il senso del limite. I media di tutto il mondo seguono e raccontano la sua salita in solitaria invernale sulla parete nord del Cervino nel 1965. Subito dopo lascia l’alpinismo estremo: ha solo 35 anni.

Da allora Walter Bonatti fa l’esploratore, scende il fiume Yukon in canoa, percorre le foreste dell’Amazzonia, cammina coi pigmei in Congo. Tuttavia non vince sempre. Anzi, nella seconda metà degli anni Settanta «Epoca» non vuole più i suoi reportage, sono fuori tempo. Ma anche i suoi fallimenti contribuiscono al mito. Walter Bonatti è un forte che talvolta perde. Suo malgrado non ce la fa, quindi paga di persona. Si isola, si arrabbia, litiga. E ciò lo rende più umano.