Torniamo a leggere le parole di “Se questo è un uomo”.

Le memorie di Primo Levi, le sue parole, sono la testimonianza dell’orrore. Egli fu uno dei pochi a sopravvivere alla terribile esperienza dell’olocausto.

Durante la sua vita ha dichiarato più volte di sentire il dovere di raccontare per non dimenticare.

“Il mio mestiere è un altro, ma la mia esistenza è stata segnata dalla prigionia ad Aushwitz e il fatto di averne scritto rende quel ricordo sempre presente”. Una volta tornato a casa ha viaggiato instancabilmente: andava a raccontare le sue memorie, della sua esperienza, e del suo libro, nelle scuole, nelle Università, ai convegni… ovunque lo invitassero.

Primo Levi è nato nel 1919 da una famiglia ebrea di Torino. Ha compiuto studi scientifici e si è laureato in chimica. Ha subito la dura esperienza della deportazione ad Aushwitz.

Fu uno dei pochi che riuscì a sopravvivere e quando tornò sentì fortissimo il bisogno di raccontare ciò che aveva vissuto.

E’ stato deportato nel 1944 e nel suo libro, “Se questo un uomo”, ha descritto il percorso dall’arrivo nel lager, allo smarrimento di fronte a quella realtà che all’inizio non apparve così tragica come risulterà in seguito. Ben presto, tuttavia, la situazione si fece chiara. Lui e gli altri ebrei italiani deportati capirono di essere in un campo di lavoro in balia di gente spietata.

Nessuno di loro era considerato un essere umano; gli venne tolta ogni cosa, ogni oggetto personale, ogni segno della loro personalità perfino il nome. Scoprirono cosa significhi essere distrutti, annientati.

Haftling: ho imparato che io sono Haftling (detenuto). Il mio nome è 174517: siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro. L’operazione è stata lievemente dolorosa, e straordinariamente rapida: ci hanno messi tutti in fila, ed uno a uno, secondo l’ordine alfabetico dei nostri nomi, siamo passati davanti a un abile funzionario munito di uno specie di punteruolo dall’ago cortissimo. Pare che questa sia l’iniziazione vera e propria: solo mostrando il numero si riceve il pane e la zuppa.

Levi ci spiega che esistono due significati della parola “annientamento”; il primo riguarda l’annullamento fisico della persona, la sua eliminazione (e infatti molti non torneranno più). L’altro riguarda la personalità di chi sopravvive e vede i propri compagni, dopo mesi di sofferenze, cedere e essere gettati nei forni.

Questa è stata l’esperienza di milioni di ebrei, Levi ce la racconta affinché tutto ciò non venga dimenticato.

La scrittura di Levi è immediata, poco ricercata. Si affida alla nuda esposizione dei fatti perché sa che questi parlano da soli. Non c’è rancore in lui ma il dolore e il desiderio di capire e di far capire.

Le memorie di Primo Levi

Se questo è un uomo

Il romanzo che racconta le memorie di Primo Levi si apre con una poesia che si intitola  Shemà, in ebraico: ascolta!

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

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