“L’ascensore” è una splendida poesia di Giorgio Caproni.
L’ascensore di Castelletto si trova a Genova e se volete capire fino in fondo la poesia, un giorno fateci un salto. Solo così è possibile comprendere perché “quando andrò in paradiso” è un verso potente quanto spontaneo.
Giorgio Caproni, livornese, aveva vissuto, lavorato e combattuto a Genova che amava e ricordava sempre. Da Roma, dove abitava in quel periodo, è tornato a Genova, per salutare la madre, gravemente malata.
Affiorano i ricordi degli affetti, del passato e della guerra alla quale lui ha partecipato. Immagini che si susseguono e si esprimono con semplicità, in un tempo futuro che riporta al passato.
Ascolta la prima parte della poesia letta da Gino Paoli e completa il testo inserendo le parole che mancano.
Quando andrò in paradiso
non voglio che una campana
lunga sappia di tegola
all’1.________ d’acqua piovana.
Quando mi sarò deciso
d’andarci, in paradiso
ci andrò con l’ascensore
di Castelletto, nelle ore 2.________,
rubando un poco
di tempo al mio riposo.
Ci andrò rubando (forse
di bocca) dei 3.__________
di pane ai miei due bambini.
Ma là sentirò alitare
la luce nera del mare
fra le mie ciglia, e… forse
(forse) sul belvedere
dove si sta in 4.__________,
chissà che fra la ragazzaglia
aizzata (fra le leggiadre
giovani in libera uscita
con cipria e odor di vita
viva) non riconosca
sotto un fanale mia madre.
Con lei mi metterò a guardare
le candide luci sul mare.
Staremo alla 5._________
di ferro – saremo soli
e fidanzati, come
mai in tanti anni siam stati.
E quando le si farà a puntini,
al brivido della ringhiera,
la pelle lungo le 6._________,
allora con la sua diaccia
spalla se n’andrà lontana:
la voce le si farà di cera
nel buio che la assottiglia,
dicendo “Giorgio, oh mio Giorgio
caro: tu hai una famiglia.”
E io dovrò ridiscendere,
forse tornare a Roma.
Dovrò tornare a attendere
(forse) che una paloma
bIanca da una canzone per radio,
sulla mia stanca
spalla si posi. E alfine
(alfine) dovrò riporre
la penna, chiuder la càntera:
“É festa”, dire a Rina
e al maschio, e alla mia bambina.
E il cuore lo avrò di 6._________
udendo quella campana,
udendo sapor di tegole,
l’inverno dell’acqua piovana.
Ma no! se mi sarò deciso
un giorno, pel paradiso
io prenderò l’ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio _______.
(La poesia continua)
Ruberò anche una rosa
che poi, dolce mia sposa,
ti muterò in veleno
lasciandoti a pianterreno
mite per dirmi: “Ciao,
scrivimi qualche volta,”
mentre chiusa la porta
e allentatosi il freno
un brivido il vetro ha scosso.
E allora sarò commosso
fino a rompermi il cuore:
io sentirò crollare
sui tegoli le mie più amare
lacrime, e dirò “Chi suona,
chi suona questa campana
d’acqua che lava altr’acqua
piovana e non mi perdona?”
E mentre, stando a terreno,
mite tu dirai: “Ciao, scrivi”,
ancora scuotendo il freno
un poco i vetri, tra i vivi
viva col tuo fazzoletto
timida a sospirare
io ti vedrò restare
sola sopra la terra:
proprio come il giorno stesso
che ti lasciai per la guerra.

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